L’emergenza sanitaria ha inevitabilmente rimarcato l’esigenza di un nuovo modello sociale ed economico basato sulla ricapitalizzazione di un tessuto industriale locale e “pulito”.
Un modello che torni a mettere al centro le persone e la salute.
Se da un lato il Covid ci ha messo di fronte a una consapevolezza che potrebbe guidare il mondo verso la sostenibilità, dall’altro, però, sono i numeri a raccontare una realtà molto lontana da quella auspicata. Nell’ultimo anno l’industria della plastica ha aumentato la sua produzione di almeno due zeri. Questo perché i consumatori stanno raddoppiando i loro sforzi in materia di igiene, utilizzando sacchetti e imballaggi monouso. Anche l’industria della protezione medica e alimentare ha sensibilmente incrementato la produzione di plastica a causa delle misure di sicurezza. Varie aziende leader nell’innovazione si sono, poi, attivate per “migliorare il riciclo”, ovvero convertire i rifiuti di plastica in tutti i tipi di nuova plastica senza perdere le loro qualità.
Ma la verità è che oggi le alternative per garantire i medesimi livelli di igiene e sicurezza della plastica monouso non sono ancora standardizzate. Sono, cioè, ancora in fase di ricerca e sviluppo. Vi sono, inoltre, le cosiddette leggi di mercato a rendere il percorso in salita. Una delle conseguenze dell’epidemia globale è, per esempio, il crollo del prezzo del petrolio. Ciò significa che produrre nuova plastica da combustibili fossili è diventato più economico che in passato. Per cambiare passo è importante, ora più che mai, investire in politiche di economie circolare e dare finalmente all’economia riproduttiva il valore che merita.