Dal riso il futuro dell’edilizia. Lo spiegherà a Radici Future Alessio Colombo, geologo e fondatore insieme a Tiziana Monterisi, architetto, di “Ricehouse” azienda con base a Biella, in Piemonte, che trasforma in materiale da costruzione gli scarti della lavorazione del riso. Questo, prendendo a modello le antiche tecniche di costruzione della cascine che punteggiavano (e punteggiano) le risaie del Biellese. L’appuntamento con lui, in dialogo con la fisica e divulgatrice scientifica Gabriella Greison, è fissato per il 14 novembre alle 20.30 a Palazzo Chiericati di Vicenza, nella seconda giornata del festival della sostenibilità, dell’economia circolare e dell’etica d’impresa arrivato quest’anno alla terza edizione.
Può spiegare di che cosa si occupa Ricehouse?
In sostanza, dal 2016 siamo attivi nel recupero degli scarti di coltivazione e lavorazione del riso, dalla paglia all’argilla, trasformandoli in materiale per costruire. Crediamo nell’economia circolare, anche perché le nostre risaie in passato, quando l’espressione ancora non esisteva, sono state un laboratorio straordinario di circolarità. Sette anni fa abbiamo avviato una startup con l’obiettivo di recuperare e ammodernare una tradizione del passato, rendendola appetibile per il mercato dell’edilizia.
Nello specifico, che cosa vi ha ispirato?
Sono state le antiche cascine che ancora oggi si vedono a lato delle risaie. Al tempo – parliamo di secoli fa – era usuale recuperare dalla coltivazione tutto ciò che si poteva: argilla per i muri, paglia per i tetti e come isolante, scarti di lavorazione. Abbiamo seguito le consuetudini dei nostri antenati, ovviamente utilizzando i materiali secondo gli standard contemporanei. Il risultato è un esempio di economia circolare che, grazie allo sviluppo di prodotti per l’edilizia derivanti dagli scarti di lavorazione agricola e industriale del riso, permette, per cominciare, di risolvere i problemi ambientali legati allo smaltimento.
A lungo termine, invece? Qual è il vostro obiettivo?
Direi che è costruire la casa di riso, tutto quello che accoglie l’uomo, dal micro al macro utilizzando i sottoprodotti che derivano dalla filiera del riso. Per questo, ci immaginiamo come lo snodo di filiera tra agricoltura e architettura attraverso le realtà industriali e artigianali del territorio.
Quante aziende come la vostra esistono al mondo?
(Sorride) Direi non più di cinque. Però – ed è un fatto – abbiamo visto crescere enormemente la sensibilità in materia da sette anni a questa parte. E questo, nonostante il nostro settore non sia particolarmente ricettivo rispetto a innovazioni “rivoluzionarie” come quelle che portiamo avanti.
Di conseguenza, quale può essere il valore per voi di un’iniziativa come Radici Future 2030?
Innanzitutto ci aiuterà a farci conoscere, e questo è già un valore importante. Poi, certamente, contribuirà a diffondere la sensibilità cui ho appena fatto riferimento e aiuterà tutti noi a compiere un altro passo verso il traguardo della “casa di riso”.